Tra vent’anni 

Come vorreste essere, chiedo ai miei sedicenni di Première, tra vent’anni?  Alla mia età, dunque, penso io, ma non lo dico che spero sempre mi credano più giovane o più vecchio o più non so ma comunque non voglio dirlo.

Felice, dice la prima, e ruba la risposta a tutti.

Circondata dalla mia famiglia, dice la seconda, media altissima e una ambizione bruciante di far sempre meglio, di rivalsa etnica e sociale. Però apolitica e, quindi, inutile.

Non vorrei cambiare, il terzo, che tra meno di un mese emigrerà per sempre altrove e che sembra solido e che mette la maglietta di Venezia, quando c’è italiano.

Più socievole, il quarto e me se strenze o cheu, che è il mio preferito, che è serio, riflessivo, intelligente e bisognerebbe che gli esseri umani fossero tutti come lui. (Mi aveva chiesto, nel primo semestre, un consiglio su cosa scrivere per fare innamorare una ragazza della classe inferiore. Voleva perfino che le scrivessi – io! – un messaggio sulla lavagna senza rivelare il mittente. Non mi è parso il caso, lui si è messo con un’altra, tutti contenti e quest’ultima è pure migliorata in italiano).

Vorrei sposarmi e avere tre bambini, quinta ragazza che non sei frivola e sprezzante per colpa tua, che io lo vedo di chi è la colpa e li ho colti i messaggi d’impotenza e di inadeguatezza adolescente e per questo cerco di non rovinarti la vita. Almeno io, per quel che serve, cioè niente.

Vorrei vivere una vita originale, e tu ci credi, bizzarra ragazzina col bomber, che la vita che hai in mente sia originale.

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