Pomeriggio in biblioteca, che era tanto che non ci andavo. Finito di correggere l’ultimo scritto, con il tempo stranamente che mi avanzava, ho girellato un po’ tra gli scaffali, a veder se c’era qualcosa di interessante. Oh, i romanzi bilingui! – scorgo – chissà se c’è qualcosa in russo che posso seguire!
Ne prendo una manciata / Gogol’ e Čechov, Puškin e la Ulitskaia, Babel’ che è l’unico di cui almeno riconosco qualche parola, qualche caso, qualche tempo verbale / e prendo anche Pavese, La spiaggia, di cui mi è capitato recentemente di parlare.
È lì, controluce, sfogliandolo distrattamente, sono ripiombato nel fascino di quella lingua antica, di quelle parole a strati, di quell’inflessione che sono i colori, le scaglie di mare, la nivea, la risacca, i borsoni troppo pesanti, le pinne che stringono, i treni stipati, i turisti della pianura, i rivieraschi, la focaccia, il Cuore di panna, i cuori di panna, l’estate del ’93, Sori, l’estate del ’97 (Belin, pare che al tema è uscito Pavese! da una finestra di Camogli), Camogli, i libri sporchi di crema solare, la sabbia tra le pagine, le notti sul poggiolo, Rimbaud, quando leggevo e mi emozionavo.
E puoi sentirti bilingue quanto vuoi, puoi imparare le lingue del mondo, ma il prurito del sale sulle spalle o la puzza marcia d’acqua in una barca saranno sempre nella lingua che hai sempre parlato. O che hai sempre sentito parlare, belin.
Ecco, mi hai fatto venire i brividi… ma si può scrivere così?
Quanto sentimento nelle tue parole, ora rileggo e poi ancora… grazie!
Grazie a te, che sei tornata a trovarmi anche dopo anni di mia latitanza 🙂
Ma io ti tengo d’occhio, eh… quando tu scrivi fai delle magie come questa!